
Il bue squartato di Rembrandt pone una domanda
Il bue squartato di Rembrandt pone una domanda: che cosa fa di un quadro un grande quadro? Di certo non il soggetto dipinto, che da solo non basta. Il bue squartato – o una Madonna col Bambino – non sono sufficienti a fare di un dipinto un’opera d’arte.

Rembrandt, Bue squartato, 1655
La pittura, parafrasando Pascal, ha delle ragioni che neppure la natura conosce, la pittura si nutre di pittura, nel bue squartato colore e materia si amalgamano come fango per simularne la carne, carne che palpita come Cristo sulla croce, dolore e condanna di un animale senza nemmeno più una pelle. Rembrandt esplora le viscere della terra fino a farci sentire il fuoco che arde, la carne maciullata, il sangue già scolato, nemmeno un cristo crocefisso arriva a questa vertigine, il bue squartato non è Rubens e neppure Caravaggio, il bue non è superficie e contrasti forti, il bue è la vittima sacrificale prima che un Dio, poi crocefisso, scendesse sulla terra. Il bue squartato è lì a ricordare che l’animale non sa della morte, mentre l’uomo è essere per la morte. L’uomo è condannato a vivere; l’animale vive senza condanna.
Che cos’è la pittura? Un’emozione. Che cos’è l’emozione? Uno stato d’animo che più lo nutri e più ti chiede. Che cos’è il bue di Rembrandt? È un’emozione che ti assale solo se frequenti la pittura. Il resto è letteratura. Il resto è un’emozione di primo grado per chi non frequenta la grande arte.
Laggiù dove nessuno guarda, laggiù dove l’alta definizione di un display non arriva, laggiù, ai piedi dell’animale crocefisso, a piangere non c’è Maria Maddalena, ma la madre di Rembrandt e del bue morto: la grande pittura nella sua essenza. È lì, ai piedi del bue squartato, che Rembrandt sovrappone colore a colore rinunciando al soggetto.
Perché a fare di un quadro un grande quadro non è il soggetto, ma la mano dell’artista.